Servono percorsi formativi in dialogo con il mercato del lavoro

22 Settembre 2014

Il 9 settembre scorso l’Ocse, in collaborazione con l’associazione Treellle, ha presentato la sezione italiana del rapporto annuale “Uno sguardo sull’educazione”. Lo studio fotografa lo stato di salute dei sistemi di istruzione di 34 paesi membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Le cifre del rapporto confermano la sensazione di chi, ogni giorno, vive nel mondo della scuola e dell’università. E se la situazione non è rosea in tutta Europa, lo è ancora meno in Italia.

Se non serve a trovare lavoro, non studio”, è uno dei titoli maggiormente esplicativi nella sintesi del rapporto. È segno della scarsa fiducia, avendo conseguito un titolo di studio più alto, di entrare con successo nel mondo del lavoro. L’istruzione, sintetizza Francesco Avvisati (Ocse), autore della nota sull’Italia, non è vista come aiuto per migliorare la propria posizione, ma come parte del problema. E diminuisce quindi la motivazione dei cittadini a investire nell’istruzione, perché “tanto non serve”. Lo confermano i dati. I tassi d’iscrizione all’università ristagnano e non diminuisce il numero di studenti che abbandonano gli studi in corso. Nel 2012, il 32 % dei giovani tra i 20 e 24 anni né lavorava e né studiava (dieci punti percentuali in più rispetto al 2008). Giusto per avere un confronto: sempre nel 2012, in Germania il tasso era dell’11% e nei Paesi Bassi addirittura del 7%. Come recuperare fiducia? Occorre rafforzare percorsi formativi che siano in dialogo con il mercato del lavoro, a partire dalle superiori. II documento “La buona scuola”, presentato dal governo italiano lo scorso 3 settembre, offre in merito proposte significative, all’interno tuttavia di un progetto da verificare. Alla connessione tra scuola superiore e impiego è dedicato l’intero capitolo quinto, dal titolo “Fondata sul lavoro”. Proprio qui sta il punto critico: la scuola, nonostante i dati negativi, non può essere “fondata sul lavoro”, col rischio di una lettura deterministica del binomio. La scuola è invece sempre “fondata sulla conoscenza”: un sapere che i ragazzi devono poter adattare e concretizzare nelle diverse attività. In quest’ottica sono da intendersi favorevolmente le proposte di aumentare le ore di alternanza scuola/lavoro nei tecnici e nei professionali, e di prevedere finalmente l’alternanza anche per i licei. L’importante è che l’obiettivo rimanga quello di mettere a confronto studenti e “mondo del lavoro” in modo concreto ma anche critico; con occhio aperto al territorio, ma senza indirizzare prematuramente i ragazzi verso determinate attività.

Tornando al rapporto Ocse, tra i dati positivi cresce il numero di laureati, in particolare di sesso femminile, ma restiamo comunque in coda rispetto ai paesi europei. Dal 2000 al 2012, la percentuale di laureati tra i 25 e 34 anni è cresciuta dall’11 al 22% (contro un tasso medio del 40% nell’area Ocse), e il 62% dei nuovi laureati sono donne. Il problema più allarmante però è il livello di preparazione degli studenti italiani, inferiore alla media degli altri Paesi dell’area. I laureati italiani hanno competenze simili ai diplomati di altri paesi. Migliora l’istruzione di base: in Italia si è ridotta nel decennio la quota di quindicenni in grave difficoltà in matematica, mentre aumentano quelli che si posizionano nella fascia alta di competenze. E questo risultato positivo si ha nonostante il taglio della spesa pubblica nell’istruzione primaria e secondaria, con la riduzione del numero di insegnanti. Così il rapporto studenti/insegnanti cresce e si avvicina, pur restando inferiore, alla media Ocse: 12 a 1 in Italia, contro la media Ocse di 15 a 1 nella primaria. Dalla competenza degli insegnanti, in ogni caso, passa il rilancio della scuola italiana. Una sfida che si gioca su due tavoli: da un lato occorre che gli insegnanti siano educati a nuove metodologie didattiche; dall’altro, la “formazione permanente” deve diventare un cardine della professionalità docente, in un mondo che cambia con ritmo frenetico.

Un ultimo dato problematico, sempre riguardo ai docenti, è l’aumento notevole dell’età media degli insegnanti a causa del blocco del turnover. Nel 2012, il 62% degli insegnanti di scuola secondaria aveva più di 50 anni, con un aumento di 14 punti rispetto al 2002. Altro dato da mettere in controluce con le proposte di “La buona scuola”, che ai docenti dedica la sezione più articolata. Secondo i piani del governo, già dal 2015 saranno assunti 149.000 nuovi docenti, i cosiddetti “precari storici”: trentenni e quarantenni messi in frigorifero da una catena di scelte poco lungimiranti. E col passaggio da organico di diritto a organico funzionale, i docenti con più anni di servizio potranno scegliere di lasciare l’attività in classe, per mettersi a disposizione della scuola in altri ambiti (cura di progetti, formazione, attività integrative…). Col concorso del 2016, e il nuovo reclutamento a partire dal 2019, il turn-over dovrebbe tornare alla normalità. Ci vorrà del tempo, ma la direzione intrapresa pare quella giusta.

 

da azionecattolica.it